12.21.2004

Tungsteno

Chissà chi c'è dietro quella finestra...
La luce arancio del tungsteno la distingue e la risalta sull'uniformità geometrica della parete.
Come un minuscolo granchio trasparente in una polla d'acqua reflua.
Come mi vedo io, e quella luce arancio sei tu. Tu sei il granchio.
Piccola, forte, splendente e non invadente. Mi regali la brillantezza della vita, io che amo le opere inanimate. Mi rendi buono, io che sono cattivo. Mi rendi migliore di quello che io sia, e ci metti del tuo.
Tu non sei la donna che mi regala la macchina fotografica, ma sei quella che crede che io possa scattare delle meravigliose fotografie...
Tu sei il mio Me, che poi è il mio Sé visto da Te...
E guardare nella stessa tua direzione, e aspettare il domani, oggi, ogni giorno, è la più bella delle avventure.
Io ti rif.

12.10.2004

Klaus

Affacciato alla finestra in un momento di pausa, questo legno aperto con la sua vernice scrostata, mi fa stare male. Ci penso e mi chiedo perché questa stupidata mi debba fare stare così male. E allora penso che sono invecchiato, che ho perso qualche capello, che mi manca mia nonna, che aveva sempre il consiglio giusto al momento giusto. Pensieri slegati, come fili di una trama logora, in una mattina di pioggia. Le peggiori, le mattine di pioggia, intendo. La cappa di umido copre le immagini, e non mi va di guardare oltre il lato del mio marciapiede al di là dell'asfalto. Ripiego su di me l'attenzione, e vedo che il cuore è accelerato, che mi fa un po' male lo stomaco, come una leggera nausea, che se osservata per un attimo, diventa un conato, che dentro non ho nulla di oltre o di altro, come se fossi arrivato ad un capolinea e non mi decidessi a scendere dal treno. Ci sono gli sbarramenti, ma mi ostino a non voler scendere e faccio finta che il viaggio continui. Forse è solo la pioggia, forse è solo la fame, o forse sono le tue parole semplici, rotte a tratti da un singhiozzare disperato. I bambini piangono così, quando sentono di essere soli nella loro disperazione di fronte a un mondo che sostanzialmente se ne frega. Forse ho sbagliato tutto, forse dovevo scendere per tempo da quel treno, o forse è solo questa maledetta pioggia e questo sole che manca. I pensieri arrancano per uscire dal marasma che si è creato dentro, e quando escono, sono stremati dalla fatica, e pallidi, e fanno ancora più male nella loro mancanza di definizione. E allora metto le cuffie e ascolta dei brani. Mi immagini piccino ma in lacrime, e abbandono il pensiero, di corsa. Non so più cosa fare. Il marasma raggiunge l'acme, quando il mio cane, inavvertito a causa delle cuffie, viene a trovarmi, e appoggia la sua testona sulle mie gambe. Grazie Klaus, mi hai salvato. Sei un cane da valanga. Sai, quando i pensieri ti franano addosso, è bella una testona amica che ti tiri via da lì. Acchiappo il telefono al volo. Perché fai così, calmati, io...ti amo.

Pioggia

La aspettavo da mezz'ora, ma in verità la aspettavo da molto più tempo. Quando la vidi scendere da quell'autobus in ritardo, scollegai il cervello, perché non avrei potuto gestire tutte le emozioni che lo ingorgavano. Andandole incontro mi muovevo con fretta, per paura di uscire dalla trance e fare o dire qualche sciocchezza. L'abbracciai. Ci abbracciammo. Nascose la sua testa nel mio petto, e quando le sollevai il capo, con una mano sotto al mento, la baciai. Ricordo solo che il cervello si ricollegò all'istante, e che la sua pelle era meravigliosamente liscia e fresca. La più bella pelle che un trentaduenne avesse mai toccato nella sua vita. E quella sensazione, come un imprinting, si stampò nel mio cervello. Quel giorno scoprii che ci si poteva perdere, dannare, restando puri, e che tutto quello che mi avevano insegnato sulla morale, era solo una specie di cancello, una recinzione, che qualcuno più informato, aveva messo a guardia del paradiso. Naturalmente perse il treno, ma non la persi io. E quando quel giorno ci separammo, iniziò a piovere. Ma la pioggia era bella, e mentre la sentivo al telefono, le gocce lavavano via la tristezza.